Regole, norme, leggi. La nostra società, anzi la nostra civiltà riconosce questo unico collante. Il caso Eluana ripropone drammaticamente quello che mi consentirete definire un sintomo schizofrenico dell'epoca moderna. E' certamente necessario oltre che giusto a questo punto che il Parlamento provveda al fine di garantire un quadro normativo in una materia in cui la magistratura ha deciso di intervenire -ideologicamente come oramai da tempo ci ha abituato in tutti i campi - di fatto appropriandosi del potere legislativo che non gli è proprio. Ma non è su questo che qui vogliamo porre la nostra attenzione, ma su lo strano effetto che la cultura multietnica-global-relativistica ha prodotto nella nostra società. A furia di convincerci che è tutto è possibile, tutto è consentito in nome di una distorta concezione della libertà, ora siamo invece costretti forsennatamente a porre norme anche laddove, sino al tempo dei nostri nonni, non era necessario indicare regole perché bastava il comune sentire, la consuetudine, il comune riconoscimento dei valori inalienalibili e fondanti una famiglia, un gruppo, un popolo. Insomma bastava l'educazione e la tradizione di un popolo. Bastava la cultura della vita, della famiglia, del rispetto degli adulti, dei maestri. Nell'ultimo cinquantennio la cultura moderna ha invece esaltato la distruzione di questi valori in nome del tutto è possibile perché alla fine nulla è vero. Il '68, ancora oggi da qualcuno esaltato, ha in vero prodotto solo un risultato culturale: la distruzione dei concetti di autorevolezza e autorità. Mi ha sorpreso alcune settimane fa leggere la riflessione di una nota sociologa che dinanzi al dilagare del fenomeno del bullismo e delle violenza nelle scuole, concludeva augurandosi un maggior rigore normativo per incutere negli studenti il rispetto delle regole e dei professori! Ecco la schizofrenia: aver scientemente eliminato l'esperienza, la tradizione, i riferimenti e i valori in nome dell'ideologia, dell'individualismo e della libertà, e poi essere costretti a cercare rifugio nella norma.
Il proliferare delle regole è il sintomo più evidente di una società confusa e debole, senza identità. Ma l'identità è un'appartenenza, è il tratto costitutivo di un popolo. L'occidente ha voluto sempre più affrancarsi, in nome di una errata conquista culturale, dall'identità cristiana che per secoli è stata alla base di qualsivoglia comune sentire, dalle nostre latitudini sino al Vallo d'Adriano. La cultura cristiana ha permeato per secoli il normale modus vivendi di uomini che hanno formato un popolo, quello europeo. Ma ora gli uomini che hanno ereditato il prezioso scrigno ne hanno rinnegato l'origine e si attaccano alle regole per stabilire cosa vale e cosa non.
In tutto questo emerge prepotente la responsabilità di noi cristiani, che ora più che mai non possiamo limitarci ad argute analisi. Ora che anche la crisi economica ha evidenziato che non è il benessere la vera risposta al desiderio di bene che c'è in ogni uomo, il cristiano che per Grazia ha incontrato uno spazio, in questo mondo, dove vincono la bellezza e la speranza, deve affermare con fermezza e senza timore che Cristo è la consistenza della realtà. All'ideologia si contrappone l'esperienza. Alle regole la carità. Alle incertezze la speranza. Alla cultura della morte la bellezza della vita, sino all'ultimo respiro.
Giuseppe Scandura
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