domenica 29 marzo 2009

EDITORIALE R.S.05/2009 Lo scandalo della carnalità di Cristo

Qualcuno diceva che "il fine giustifica i mezzi" e, tanto più misero è il fine, tanto più miseri saranno i mezzi per raggiungerlo.
E così se il fine è "l'amore libero", tutti i mezzi per proteggere le persone da malattie o per evitare "errori di percorso" saranno leciti.
Se amore è invece amare l'altro come un dono inaspettato, come riverbero di un Amore più grande, i "mezzi" saranno ben altri, perché dettati dall'amore alla verità dell'altro, dal rispetto della sua persona, dall'attenzione ai suoi bisogni più profondi.
E allora cos'è che scandalizza e sorprende nei discorsi del Papa, nelle parole di un Padre che ha a cuore la nostra verità, la nostra felicità, che ci richiama sempre all'amore vero?
Come già detto altre volte: il Valore della vita, il suo significato e la sua Verità, non si possono ridurre ad una dottrina sia pur corretta e pulita perché una dottrina, sia pur corretta e pulita, non interessa a nessuno.
"All'inizio dell'esser cristiano non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò una direzione decisiva". I° Enciclica Deus caritas est, n.1
"La fede non è una teoria che si può far propria o accantonare. È una cosa molto concreta: è il criterio che decide del nostro stile di vita." Benedetto XVI
Questo è lo scandalo della carnalità di Cristo: una Presenza contemporanea che diviene criterio per giudicare tutto, diventa il movente di ogni azione, di ogni gesto quotidiano, dal più grande al più banale.
Questo scandalo, che Cristo abbia la pretesa di avere a che fare con tutta la nostra vita, è possibile superarlo solo verificando dentro tutti gli aspetti della nostra vita la profonda corrispondenza tra il nostro desiderio di verità, di felicità, di realizzazione e la risposta soddisfacente che Lui è.
E' un modo nuovo di guardare è di giudicare le cose che non è un'imposizione ma è una proposta al cuore di tutti gli uomini, al nostro cuore, una proposta talmente affascinante che val la pena di lasciare tutto per seguirla.
Il Direttore

SOMMARIO R.S.05/2009


domenica 22 marzo 2009

19 Marzo Festa del Papà

AUGURI A TUTTI I PAPA'
Cosa vuol dire essere papà? un interessante articolo su tempi
http://www.tempi.it/cultura/006042-il-pap-custode-della-vita-altrui
ed altri due articoli su un papà "diverso"
http://www.tempi.it/opinioni/006049-un-padre-ogm-del-tutto-naturale
http://www.tempi.it/006085-ecco-una-straordinaria-corsa-ostacoli-scritta-da-amicone-sull-ottovolante

Perchè anche i laici devono dirsi cristiani?

Nell'auditorium della Fondazione Bonino Pulejo il senatore Marcello Pera ha presentato il suo ultimo libro "Perché dobbiamo dirci cristiani. Il liberalismo, l'Europa, l'etica". Molti si ricordano di Marcello Pera come Presidente del Senato, altri lo ricordano come amico di Papa Benedetto XVI e sono in pochi a ricordare che è anche un docente di filosofia. Dalla filosofia della scienza adesso però è passato direttamente ad un altro campo, cambiamento sicuramente spinto dal suo impegno politico ma anche dalla necessità di salvare il suo Liberalismo ormai in crisi e pericolosamente minacciato dal relativismo. Marcello Pera è infatti un laico ed un liberale che prova con lo strumento del filosofo (la ragione) ad indagare i motivi della crisi dell'occidente, della crisi del liberalismo. Si accorge che tutto deriva da una perdita di identità, dall'avanzare del pensiero relativista che svuota la cultura europea e che porta l'uomo occidentale non solo a battersi il petto per le colpe commesse ma anche a rinnegare se stesso annullando la propria identità. Ma qual'è quest'identità? Da dove viene? A questo punto il filosofo indaga e nota che il principio del liberalismo sta nel riconoscimento dei diritti inviolabili dell'uomo, che non sono quelli del "cittadino" ma dell'uomo in quanto tale e che quindi precedono qualsiasi istituzione statale e qualsiasi costituzione. La stessa costituzione italiana al suo secondo articolo riconosce tali diritti inviolabili e quindi riconosce che tali diritti esistevano già prima di essa stessa e che di conseguenza ne prende atto e si adegua. Ma qui viene il punto cruciale: questi diritti inviolabili dell'uomo da dove vengono? Se li è inventati il liberalismo o li ha solo scoperti? La risposta di questa domanda stà nel cristianesimo, solo nella religione cristiana infatti nasce il concetto di persona e di tutela della sua dignità e tutto quello che ne consegue. Insomma secondo Pera solo e soltanto dal cristianesimo sarebbe potuto nascere il liberalismo e se quest'ultimo vuole continuare a sopravvivere non deve rinnegare le sue origini, non deve essere anticristiano, deve anzi difendere quei diritti inviolabili che lo fondano. Molti di voi ricorderanno il saggio di Benedetto Croce "Perchè non possiamo non dirci cristiani" e già dal titolo salta fuori la differenza con il pensiero di Pera: dobbiamo non possiamo. Croce era un immanentista e considerava il cristianesimo solo una cultura e non una religione, restava quindi ingabbiato nei suoi stessi schemi filosofici, Pera va oltre sottolineando il dovere di sentirsi cristiani, un dovere rivolto non solo ai cristiani,che già sono tali e si sentono tali, ma ai laici, ai liberali che altrimenti perderebbero completamente la loro identità.
http://vocecontrovento.splinder.com/post/20048126/Perch%C3%A8+anche+i+laici+devono+d
Oltre a questo post trovate anche il discorso fatto da Marcello Pera in Senato il 10 febbraio sul caso Eluana Englaro. Che sintetizza il suo pensiero di laico, i diritti inviolabili devono restare tali e nella difesa di quei diritti inviolabili la Chiesa non è mai stata di ostacolo.

domenica 15 marzo 2009

L'epoca della legge

Regole, norme, leggi. La nostra società, anzi la nostra civiltà riconosce questo unico collante. Il caso Eluana ripropone drammaticamente quello che mi consentirete definire un sintomo schizofrenico dell'epoca moderna. E' certamente necessario oltre che giusto a questo punto che il Parlamento provveda al fine di garantire un quadro normativo in una materia in cui la magistratura ha deciso di intervenire -ideologicamente come oramai da tempo ci ha abituato in tutti i campi - di fatto appropriandosi del potere legislativo che non gli è proprio. Ma non è su questo che qui vogliamo porre la nostra attenzione, ma su lo strano effetto che la cultura multietnica-global-relativistica ha prodotto nella nostra società. A furia di convincerci che è tutto è possibile, tutto è consentito in nome di una distorta concezione della libertà, ora siamo invece costretti forsennatamente a porre norme anche laddove, sino al tempo dei nostri nonni, non era necessario indicare regole perché bastava il comune sentire, la consuetudine, il comune riconoscimento dei valori inalienalibili e fondanti una famiglia, un gruppo, un popolo. Insomma bastava l'educazione e la tradizione di un popolo. Bastava la cultura della vita, della famiglia, del rispetto degli adulti, dei maestri. Nell'ultimo cinquantennio la cultura moderna ha invece esaltato la distruzione di questi valori in nome del tutto è possibile perché alla fine nulla è vero. Il '68, ancora oggi da qualcuno esaltato, ha in vero prodotto solo un risultato culturale: la distruzione dei concetti di autorevolezza e autorità. Mi ha sorpreso alcune settimane fa leggere la riflessione di una nota sociologa che dinanzi al dilagare del fenomeno del bullismo e delle violenza nelle scuole, concludeva augurandosi un maggior rigore normativo per incutere negli studenti il rispetto delle regole e dei professori! Ecco la schizofrenia: aver scientemente eliminato l'esperienza, la tradizione, i riferimenti e i valori in nome dell'ideologia, dell'individualismo e della libertà, e poi essere costretti a cercare rifugio nella norma.
Il proliferare delle regole è il sintomo più evidente di una società confusa e debole, senza identità. Ma l'identità è un'appartenenza, è il tratto costitutivo di un popolo. L'occidente ha voluto sempre più affrancarsi, in nome di una errata conquista culturale, dall'identità cristiana che per secoli è stata alla base di qualsivoglia comune sentire, dalle nostre latitudini sino al Vallo d'Adriano. La cultura cristiana ha permeato per secoli il normale modus vivendi di uomini che hanno formato un popolo, quello europeo. Ma ora gli uomini che hanno ereditato il prezioso scrigno ne hanno rinnegato l'origine e si attaccano alle regole per stabilire cosa vale e cosa non.
In tutto questo emerge prepotente la responsabilità di noi cristiani, che ora più che mai non possiamo limitarci ad argute analisi. Ora che anche la crisi economica ha evidenziato che non è il benessere la vera risposta al desiderio di bene che c'è in ogni uomo, il cristiano che per Grazia ha incontrato uno spazio, in questo mondo, dove vincono la bellezza e la speranza, deve affermare con fermezza e senza timore che Cristo è la consistenza della realtà. All'ideologia si contrappone l'esperienza. Alle regole la carità. Alle incertezze la speranza. Alla cultura della morte la bellezza della vita, sino all'ultimo respiro.
Giuseppe Scandura

EDITORIALE R.S.04/2009 Una certezza che renda la vita interessante

Il "tema della vita" è tornato prepotentemente al centro della nostra vita e di quella del nostro paese, così come accade sempre, perché è la vita ad accadere e ad imporsi nonostante noi cerchiamo di esserne sempre ed inutilmente padroni.
Questa sfuggevolezza, questa imprevedibilità dell'esistenza spesso ci disorienta e per poterla affrontare abbiamo bisogno di "definirla": stabilire cosa è bene e cosa è male, cosa si può o si deve fare, come ci si deve o ci si può comportare.
Del resto senza regole non è neanche immaginabile una sana convivenza tra uomini anche di uno stesso paese, di una stessa lingua, di una stessa cultura e persino di una stessa famiglia. E si arriva, come in questi giorni, fino al punto di non poter più separare la politica dall'etica, le leggi dal valore della vita, le regole dall'educazione e dal rispetto nel tentativo di poter stabilire il bene ed il giusto una volta per tutte.
Ma noi, pensiamo veramente di cavarcela costruendo dottrine universali, selezionando dei valori comuni per tutti e scrivendo leggi che li impongano?
Il Valore della vita, il suo significato, la sua Verità, non si può ridurre ad una dottrina sia pur corretta e pulita perché una dottrina, sia pur corretta e pulita, non ci può interessare. Non interessa a nessuno!
Ciò di cui abbiamo veramente bisogno è una certezza che renda la nostra vita realmente interessante in tutti i suoi aspetti, in tutti i suoi momenti, in tutti i suoi particolari, senza che nulla, ma proprio nulla ne resti fuori.
Ed una certezza sulla nostra esistenza non può che venir fuori dalla vita stessa, come un avvenimento imprevisto ed imprevedibile ma così corrispondente alla nostra esigenza di significato, al nostro desiderio di felicità che non resta altro che seguirne il fascino.
Questa per noi è cultura: comunicare questa speranza incontrata, come unica possibilità di una vita realmente interessante e degna di essere vissuta.
Il Direttore

SOMMARIO R.S.04/2009


mercoledì 11 marzo 2009

IL NOSTRO ENORME BISOGNO DEL BELLO

È quasi scandalosa la risposta di don Giussani a quella missionaria che si sentiva impotente di fronte a tutta la sofferenza dei suoi bambini: non dimenticarti di ciò che ci meraviglia e commuove, è memoria di Dio.
Ho conosciuto una donna che fa la missionaria con i bambini di una terra sperduta dell’Est. Mi ha raccontato di figli abbandonati e madri sole, in un paese che ha perso quasi ogni memoria cristiana. La ascoltavo e cercavo di immaginare le sue giornate in quel posto lontano, dove l’inverno dura sei mesi e gli uomini vengono educati semplicemente a sopravvivere. A un certo punto mi è venuto istintivo domandare: ma di fronte a tanta solitudine e dolore non ti senti mai impotente, mai travolta, visto che ciò che puoi fare è comunque una goccia nel mare? (Glielo ho chiesto nel ricordo di un viaggio, anni fa, in Moldavia, quando il numero e lo stato di abbandono dei bambini di strada mi erano parsi una tale mole di sofferenza da portare inevitabilmente alla disperazione). Lei ha afferrato subito il senso della mia domanda, che in questi anni laggiù deve essersi ripresentata davanti tante volte, ora impellente, ora freddamente quieta. «Sì, accade di vedere la tua impotenza. Accade di entrare in un orfanotrofio dove cento bambini ti si accalcano attorno e ti domandano qualcosa; e allora capisci che ciò che puoi dare, comunque, non basterà mai».
Succede anche a te allora, ho detto, più attenta, come avessi incontrato una compagna di strada. E dimmi, che risposta ti sei data? Lei ha detto che non aveva saputo darsi risposta, e che dunque scrisse a don Luigi Giussani. Lui rispose. Una lettera non troppo lunga, e dei soldi, una discreta somma. Cara A., diceva, ti mando questo denaro perché tu ti compri qualcosa che sia per te molto bello. Ricordati: perché tu possa continuare a dare agli uomini che incontri, è essenziale che tu non perda il gusto del bello.
Una risposta che stupisce, soprattutto se viene da un prete. La risposta ovvia sarebbe stata una beneficenza per i poveri, e l’esortazione a mettere da parte il pensiero della propria impotenza, seme possibile di disperazione. E invece no: Giussani alla missionaria in una terra desolata diceva di badare, prima di tutto, a «non perdere il gusto del bello». Abituata a un cristianesimo moralista e pauperista, questa risposta mi è sembrata dapprima quasi scandalosa. Poi ho capito. Ricordati, quando hai davanti abbandono e solitudine, ciò che è profondamente bello. (Le Dolomiti in un’alba d’estate, lo sguardo limpido di un bambino, i colori di un quadro di Giotto, ma anche la gatta che cova fiera i suoi gattini). Conserva il gusto del bello. Non dimenticarti mai di ciò che ci meraviglia e commuove. Perché la bellezza è orma di Dio, segno lasciato dalla sua mano. Di ciò che è bello abbiamo bisogno quasi più che del pane. Ogni bellezza è memoria di Lui, lasciata scritta, come smarrita su questa terra – lasciata lì perché noi vediamo. È il fiore che sboccia in alta montagna, fra le crepe delle rocce, dove non lo vedrà nessuno se non forse un gitante, come per caso, un mattino. E dirà fra sé: a cosa serve un fiore qui? Tanta bellezza, per chi? Per te che passi, per te che l’hai visto e ti sei fermato. È un’orma. È la Bellezza che lascia traccia di sé, perché affascinati la seguiamo.
Marina Corradi, Tempi

lunedì 9 marzo 2009

"Perchè dobbiamo dirci cristiani"

Presentazione a Messina di "Perchè dobbiamo dirci cristiani"
10 Marzo 2009
Il sen. Marcello Pera presenta il suo libro con il prof. Girolamo Cotroneo e il sen. prof. Luigi Compagna presso la Fondazione Bonino Pulejo alle ore 17.00.
www.marcellopera.it

domenica 8 marzo 2009

MINICORSO SULL' AFFIDO

Minicorso sull'Affido
Marzo- aprile 2009 Sede: Istituto Cristo Re - Messina
1° incontro- sabato 14 marzo 2009 dalle ore 16.30 alle 18.30
Perché l'affido e che cos'è l'affido
Intervengono:
• Dott. Francesco Polito - giudice onorario c/o Tribunale dei Minori di Messina
• Armando e Pina Restuccia - Famiglia affidataria
2° incontro- sabato 28 marzo 2009 dalle ore 16.30 alle 18.30
Il bambino al centro dell'esperienza educativa
Intervengono:
• D.ssa Mirella Deodato - neuropsichiatra infantile
• Filippo e Pina Paone -Famiglia affidataria
3° incontro- sabato 18 aprile 2009 dalle ore 16.30 alle 18.30
II valore della famiglia: famiglia d'origine , famiglia affidataria, rete di famiglie
Intervengono:
• D.ssa Sara Sorbello -Psicologa
• Riccardo e Rosetta Tringali: famiglia affidataria
Per informazioni e iscrizioni rivolgersi a : Salvatore Borgia 090 2937046 (ore pasti) Pina Carbone 090 693127
http://www.famiglieperaccoglienza.it/

domenica 1 marzo 2009

EDITORIALE R.S.03/2009 Una legge necessaria ma non sufficiente

Una legge necessaria ma non sufficiente. La vera questione è l'unità dell'io
Finalmente si torna a discutere di grandi questioni: il rispetto della vita, della libertà, della dignità dell'uomo, insomma della centralità della persona umana in tutti gli aspetti della vita politica, sociale, culturale.
Dall'operaio sino al politico e persino al magistrato ci s'interroga su come regolamentare alcune circostanze che hanno a che fare con il senso della vita e nelle quali si gioca drammaticamente la libertà dell'uomo.
Ma è giusto darsi delle regole che debbano essere valide per tutti? E fino a che punto è possibile, o meglio, è giusto spingersi nella regolamentazione della vita?
Sull'esistenza e soprattutto sulle questioni fondamentali l'idea di non decidere, di non prendere una posizione e di lasciarle al libero arbitrio del singolo individuo è la posizione più miserevole che un uomo possa avere perché ne sminuisce la sua stessa natura.
Se è vero che il bene dell'esistenza non può essere affidato alle carte bollate e anche vero che la legge ci deve essere e deve poter garantire, almeno in forma precauzionale, il dono grande della vita ancor prima della libertà che da essa ne scaturisce.
E' necessario, quindi, affrontare il tema del "fine vita" sino a definire una legge che sia la migliore possibile, pensata, ragionata e condivisa, ma allo stesso tempo avendo chiara la coscienza che sarà sempre imperfetta.
Perché non è un insieme di norme e leggi, sia pur necessarie e ben fatte, né una questione di coerenza ad esse, che può darci certezze e renderci felici.
La vera questione è l'unità dell'io.
Un'unità dell'io, ovvero un io che agisce e giudica tutto a partire da un unica affezione, da un'unica ragione capace di dare ad ogni singolo frammento della realtà significato a prescindere dalla nostra capacità di percepirne il valore.
Questa unità, questa possibilità di essere uomini fino in fondo, è possibile per tutti perché è incontrabile nella storia di oggi, nel volto di coloro che hanno già sperimentato che in Lui tutto consiste.
Il Direttore

SOMMARIO R.S.03/2009


CL: sul “fine vita” siamo col cardinale Bagnasco

In relazione al dibattito intorno a una legge sul fine vita, Comunione e Liberazione condivide le ragioni più volte espresse dal cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, e rese ancora più attuali dopo la morte di Eluana Englaro: «Il vero diritto di ogni persona umana, che è necessario riaffermare e garantire, è il diritto alla vita che infatti è indisponibile. Quando la Chiesa segnala che ogni essere umano ha un valore in se stesso, anche se appare fragile agli occhi dell’altro, o che sono sempre sbagliate le decisioni contro la vita, comunque questa si presenti, vengono in realtà enunciati principi che sono di massima garanzia per qualunque individuo» (Prolusione al Consiglio permanente della Cei, 26 gennaio 2009).
Lo stesso Benedetto XVI, nell’Angelus del 1° febbraio 2009, ha ricordato che «la vera risposta non può essere dare la morte, per quanto “dolce”, ma testimoniare l’amore che aiuta ad affrontare il dolore e l’agonia in modo umano».
Per questo, di fronte alle polemiche suscitate da ambienti laici e anche da cattolici, restano per noi valide le preoccupazioni del cardinale Bagnasco e della Cei sulla necessità di «una legge sul fine vita, resasi necessaria a seguito di alcune decisioni della giurisprudenza. Con questa tecnica si sta cercando di far passare nella mentalità comune una pretesa nuova necessità, il diritto di morire, e si vorrebbe dare ad esso addirittura la copertura dell’art. 32 della Costituzione». Chi si impegna in politica secondo ragione può trarre da queste preoccupazioni della Chiesa uno sguardo più vero alla vita degli uomini, nel difficile compito di servire il bene comune.
l’ufficio stampa di CL, Milano, 26 febbraio 2009.