Ci sono momenti in cui l’urto della realtà si fa più violento. La barbarie attorno al caso di Eluana. I lampi di guerra in Medio Oriente. Il morso della crisi. Sembrano messi lì apposta, tutti insieme, a farci accusare il contraccolpo. In questi casi l’effetto normale, e per molti versi giusto, è la reazione. Buon segno: vuol dire che il cuore non è rattrappito. Ma basta questo per riempirlo? È sufficiente per affrontare la realtà fino in fondo, per liberarci dalla paura, per sperare? O dentro quei colpi così violenti da farti star male (come si fa a non star male davanti ad Eluana?) c’è qualcosa di più, una sfida più profonda? Tocca guardare alla nostra esperienza, per accorgersene. Partendo proprio da quello che accade. Difendere la vita è giustissimo e indispensabile. È una battaglia da combattere con tutte le armi che si hanno: le leggi, la cultura, i giornali. L’educazione. Persino la piazza, quando serve. Tutto. Solo che quel “tutto” non ci basta. Difendere il principio giusto della vita non ci basta per vivere. Così come affermare con le parole il valore misterioso - e infinito - di una sofferenza non ci basta ad affrontarla. O difendere la famiglia - altra buona battaglia da combattere fino in fondo - non ci basta per vivere un matrimonio. Quel “tutto” che possiamo fare va fatto, la lotta va affrontata fino in fondo. Ma non basta. Per capire davvero di che si tratta, abbiamo bisogno di qualcuno che viva fino in fondo. Che ci faccia vedere la pienezza di senso che può avere anche la peggiore delle malattie. Che ci mostri la bellezza senza confini di una vocazione e il fascino dell’educare i figli. Che ci faccia scoprire, in queste circostanze, una corrispondenza al nostro cuore impensabile prima. E che ci faccia conoscere chi rende possibile tutto questo, l’Unico che può renderlo possibile, perché noi non se siamo capaci: Cristo. Abbiamo bisogno di Cristo. E di testimoni che Lo rendano presente. È quando riconosciamo questo che, come diceva qualche settimana fa don Julián Carrón a un gruppo di responsabili di Cl, «la vita ci sfida e diventa un’avventura appassionante, perché ci introduce sempre di più al significato del reale». La realtà è questo: una sfida continua. Una collezione di sfide a riconoscerLo presente, di occasioni per verificare la fede e veder fiorire la speranza. E la battaglia, ogni battaglia, ci mette di fronte a un bivio che viene prima dell’alternativa tra vittoria e sconfitta: siamo certi o no della Sua presenza? Del destino buono che abbiamo incontrato? Di quello che abbiamo visto e che ha toccato le nostre vite? Se la risposta è sì, possiamo «sperare contro ogni speranza». Sembra un “discorso religioso”, uno spiritualismo incapace di reggere all’urto violento del reale. È esattamente il contrario. Anzitutto perché non ti fa abbandonare la lotta, ma ti fa scendere in campo con ancora più voglia di combattere. Ti fa entrare nel merito dei problemi con più acume, tenendo conto di tutti i fattori. E poi, cosa ancora più importante, ti rende libero dalle paure. Certo e, quindi, libero. Perché la speranza, l’unica speranza, nasce solo da quella certezza: Lui c’è.
Editoriale di Tracce di Febbraio 09
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