martedì 13 ottobre 2009
Omelia di mons. Calogero La Piana ai funerali per le vittime dell'alluvione
Carissimi, la pagina evangelica ascoltata offre alla nostra meditazione il mistero di Gesù morente sulla croce. Nella preghiera desideriamo chiedere a Dio Padre di aprire il nostro cuore e la nostra mente per riconoscere nella passione del suo Figlio quella di tutti i fratelli sofferenti e per rafforzare nella sua morte e risurrezione la speranza, nostra e di tutta l'umanità, nella pienezza di vita insieme a lui. Sulla bocca del Crocifisso un grido: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?". Non grido di disperazione, miei cari fratelli, ma accorata preghiera che colpisce per la sua paradossale formulazione. Da una parte, l'invocazione "Dio mio", che esprime l'intimo e personale rapporto con Dio. Un grido, dunque, non rivolto al vuoto e al nulla, ma al Padre, buono e misericordioso. D'altra parte il forte lamento che scaturisce dall'amare esperienza della sua lontananza, meglio ancora, della sua non avvertita presenza. Quel terribile "perché" ritorna spontaneo sullla bocca dei tanti crocifissi della storia per esprimere la desolazione che si avverte quando la morte, antitesi del Dio vivente, non permette di sentirne viva la presenza. "Dio mio, perché mi hai abbandonato?". Il grido di Gesù è il grido dell'umanità sofferente, è il grido di questa comunità profondamente scossa dal tragico evento dell'alluvione, è il grido della popolazione dell'Abruzzo colpita dal terremoto, è il grido degli uomini provati in ogni angolo della terra da devastanti inondazioni o calamità naturali. E' il grido che scaturisce dal dolore, spesso dalla rabbia e dalla disperazione. Dinanzi a tanta sofferenza, tuttavia, è confortante, miei cari fratelli, sentire che anche il Figlio di Dio, nel momento più tragico della sua esistenza terrena, inchiodato sul legno della croce, ha chiesto al Padre il "perché" di tanto dolore, di tanto abbandono e di così grande ingiustizia che si abbateva su di lui. "Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?". Grido intenso di dolore ed atto di abbandono fiducioso al Padre. Sulla croce, mentre avverte vicina la morte, un secondo grido risuona, ancora più forte e più intenso del primo, sulla bocca di Gesù: "Nelle tue mani, o Padre, consegno il mio spirito". E' il grido della speranza, della sua ferma fiducia nel riconoscersi Figlio prediletto dal Padre, da Lui amato ed accolto. Chiedo al Signore Dio che anche questo grido di fiduciosa speranza divenga il grido di coloro che nel dolore e nella prova, pur avvertendo la sensazione del fallimento e dell'abbandono a motivo della debolezza e della fragilità della carne, trovino la forza e il coraggio di abbandonarsi nelle mani di Dio, che nel suo Figlio si è fatto in tutto simile a noi e "proprio per essere stato messo alla prova ed avere sofferto personalmente, è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova" (Eb 2, 18). Il Figlio di Dio "stese le braccia sulla croce, morendo distrusse la morte e proclamò la risurrezione" (Preg. Euc. 2). Nella sua crocifissione e morte, segno di debolezza e d'impotenza agli occhi degli uomini, si rivela la speranza e la potenza di Dio, il trionfo della vita sulla morte, dell'amore sull'odio, della misericordia di Dio sul peccato dell'uomo. È la fede del centurione romano ad attestarlo: "veramente costui era Figlio di Dio". È la nostra fede: la nostra sofferenza è stata assunta dal Figlio di Dio, la sua risurrezione sarà assunta da noi: "Siamo convinti - ci ha ricordato l'apostolo Paolo - che Colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche noi con Gesù e ci porrà accanto a lui". Carissimi fratelli, questa nostra preghiera, impreziosita dall'offerta a Dio della sofferenza che la connota, è attestazione della speranza che sostiene la nostra vita di fede fondata sulla parola di Gesù: "Io sono la risurrezione e la vita, chi crede in me non morirà in eterno". In questo momento di tristezza e di lutto per l'intera comunità, messinese e nazionale, ci sentiamo profondamente ed intimamente uniti con quanti sono stati direttamente coinvolti nella tragedia di questi giorni, solidali con le loro sofferenze e le loro ansie, ma anche con le loro speranze e la loro volontà di ricominciare. Uniamo la nostra voce alla loro per invocare aiuto, sostegno e vicinanza dalle Istituzioni e chiediamo a Dio, ricco di grazia e di misericordia, la beata eternità per i fratelli defunti. Tante parole sono state dette in questi luoghi e interminabili giorni. Alcune per documentare l'accaduto: la violenza del nubifragio; le esondazioni e gli smottamenti; le frane e la collina che viene giù, le case sommerse dalla valanga di fango; la dolorosa realtà di tante vite umane spezzate, l'incertezza del loro numero, il mancato ritrovamento di alcuni corpi... Tante altre parole abbiamo ascoltato sulla instabilità idrogeologica del territorio, la presenza di numerosi torrenti, la mancata opera di prevenzione, l'assenza di una manutenzione ordinaria, l'abusivismo edilizio, la mancanza cronica di fondi. Di certo soffriamo, e non poco, la carente gestione di un patrimonio unico e prezioso, questo nostro territorio, paesaggisticamente bello ed affascinante, ricco di colori e di vegetazione, di arte e di beni di ogni genere, caratterizzato da un clima gradevole e amabile; un patrimonio, il nostro territorio, troppo spesso sfregiato e deturpato, incredibilmente ed insopportabilmente violentato dal peccato dell'uomo: negligenza e noncuranza, interessi privati ed egoistici, logiche perverse e speculazioni di ogni ordine e grado. Si è anche parlato di tragedia annunziata, di stato di calamità, di strade sbriciolate ed impraticabili, di centri evacuati e di intere famiglie sfollate, di numerosi feriti, di danni economici ingenti e di fondi stanziati, di cordoglio nazionale, di funerali solenni o di Stato. Si è voluto anche, come avviene sovente in circostanze simili, polemizzare, giudicare e condannare con sufficienza e presunzione. Ciò che, tuttavia, non riusciamo a tollerare è il reiterato tentativo di strumentalizzare, per l'ennesima volta, il dramma di questa nostra terra e di questa nostra amata gente. Troppe parole sono state dette. La parola più bella che abbiamo ascoltato è quella pronunciata attraverso gesti concreti ed eroici, parola gridata silenziosamente da numerose forze umane, dal loro faticoso e massacrante lavoro, dalla loro grande generosità e dal loro coraggioso e ammirevole impegno. Parola vera e sincera, autentico urlo di un esercito di fratelli e di sorelle che ringrazio di vero cuore a nome mio personale e di tutta la popolazione, l'esercito della solidarietà che ha coinvolto e spinto, come già altre volte sperimentato, uomini e donne di buona volontà, di ogni ceto sociale e di ogni età, a portare soccorso e dare aiuto, e mostrare il volto bello dell'uomo e della sua incommensurabile dignità e nobiltà. In questi giorni sono stati ricorsati, da più parti e in diverse circostanze, i ripetuti appelli caduti nel vuoto; si è alzato con forza l'allarme di tanta gente; è risuonato vigoroso il grido di dolore di intere famiglie e comunità. Ma a parlare, oggi, è soprattutto il silenzio di questi troppi nostri fratelli e sorelle che hanno perso la vita nel tragico nubifragio. Basterà tutto questo? Cos'altro dobbiamo "sentire" ancora? Cos'altro dobbiamo ancora aspettarci perché "avvenga" una conversione, un cambiamento di rotta? Maria Santissima, la Mamma celeste, la veloce ascoltatrice, raccolga il grido di dolore e di speranza di tutti noi e porti pace e consolazione nei cuori dei familiari ed amici di quanti hanno perso la vita. Il vostro silenzio, miei cari fratelli defunti, è il grido più eloquente di ciò che tutti noi oggi osiamo sperare, chiedere e gridare ai responsabili della cosa pubblica: restituiteci la serenità, dateci la garanzia di un piano di sicurezza, fatto di opere concrete e non di carte o di parole vuote e di circostanza, perché simili tragedie non abbiano più ad accadere.
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