In Italia 3 milioni di poveri rischiano di rimanere senza cibo e assistenza in seguito alla decisione dell’ Unione europea (Regolamento di esecuzione UE N563/2011 del 10 giugno 2011) di ridurre drasticamente per il 2012 gli aiuti alimentari garantiti dal Pead (Programma Europeo di Aiuto Alimentare) a favore degli indigenti.
“Condividiamo e sosteniamo in pieno la battaglia intrapresa dal Ministro Saverio Romano contro i tagli al Pead” spiega Marco Lucchini, direttore della Fondazione Banco Alimentare Onlus. “La riduzione degli aiuti comunitari avrà drammatiche conseguenze per le persone bisognose che ne usufruiscono sia in Italia che in Europa. In particolare, nel nostro paese, la diminuzione di cinque volte dei beni alimentari erogati rischia di compromettere la tenuta del sistema di welfare. Una vera e propria ‘bomba ad orologeria’ che potrebbe portare a rischiosi conflitti sociali e che solo il Consiglio dei Ministri dell’Agricoltura europei può disinnescare, evitando che il decreto diventi attuativo immediatamente. É fondamentale che prevalga il buon senso e la lungimiranza, come è stato ribadito dai funzionari dell'AGEA”.
In Italia il programma di aiuto alimentare ai poveri con gravi necessità alimentari è attivo dal 1995 e la collaborazione tra enti caritativi e AGEA (Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura) ha contribuito allo sviluppo di un concreto sistema di distribuzione che ogni anno fornisce alimenti a più di 3.000.000 di poveri, di cui 1.500.000 assistiti dalla Fondazione Banco Alimentare Onlus attraverso 8.159 strutture caritative ad essa convenzionate. A queste, solo nel 2010, grazie al Pead sono state distribuite gratuitamente 48.000 tonnellate di cibo che il prossimo anno potrebbero diventare un quinto.
La Fondazione Banco Alimentare Onlus condivide la preoccupazione comune ai 21 Paesi membri della Federazione Europea dei Banchi Alimentari (FEBA) che in Europa aiutano 5 milioni di poveri donandogli 360.000 tonnellate di cibo all’anno, una parte difficilmente sostituibile delle quali arriva proprio dagli aiuti comunitari stanziati attraverso il Pead.
Per ulteriori informazioni: Francesco Lovati 334-6408185
giovedì 30 giugno 2011
sabato 25 giugno 2011
Presentazione del libro di Sarubbi su RTP
Dopo la presentazione del libro di Pietro Sarubbi (l'attore interprete di Barabba nel film The Passion di Mel Gibson) dal titolo "da Barabba a Gesù. Convertito da uno sguardo" - tenutosi lo scorso 10 giugno presso il PalaCultura Antonello da Messina - in molti, tra coloro che per vari motivi non sono potuti essere presenti, hanno espresso il desiderio di poterlo vedere in streaming. Ora, grazie a un accordo raggiunto tra Enzo Bonanzinga (in nome dell'Ass. Culturale El Barquino) e la Radio Televisione Peloritana, questo sarà possibile, infatti domani, domenica 26 giugno, alle ore 14,10 c.a. (dopo il TG) la RTP trasmetterà per intero l'incontro con l'attore Pietro Sarubbi intervistato da Pietro Ortega della Fondazione Bonino Pulejo.
Domenica prossima, stesso canale stessa ora, verrà trasmessa la seconda parte dell' intervento di Sarubbi nell'evento oraganizzato dal Comune di Messina.
BUONA VISIONE!
Domenica prossima, stesso canale stessa ora, verrà trasmessa la seconda parte dell' intervento di Sarubbi nell'evento oraganizzato dal Comune di Messina.
BUONA VISIONE!
giovedì 23 giugno 2011
Presentazione libro di Antonio Meli
Incontro-dibattito sul libro di Antonio Meli "Le grandi questioni della filosofia" che si terrà presso il Palazzo della Cultura di Viale Boccetta,
Venerdì 24 Giugno 2011 alle ore 17,30.
Venerdì 24 Giugno 2011 alle ore 17,30.
Il libro sarà presentato dal Prof. Girolamo Cotroneo
già ordinario di Storia della Filosofia della Università di Messina,
modera la dott.ssa Angela Verso
interverrà il prof. Giuseppe Giordano
associato di Storia e Filosofia della Università di Messina
mercoledì 22 giugno 2011
PRONTI A RENDERE RAGIONE DELLA SPERANZA CHE È IN NOI
Come qualsiasi altra circostanza della vita, anche le elezioni amministrative hanno costretto ognuno di noi a prendere posizione e ad assumersi la propria responsabilità. Soprattutto questa volta, non è stato facile andare oltre le apparenze e i luoghi comuni alimentati dal mondo politico e dall’opinione dominante.
Fin dall’inizio ci siamo detti: siamo cristiani e dunque, prima di qualunque calcolo elettorale e prima di sapere quale sarà il risultato finale, vogliamo verificare se la fede ha qualcosa da dire anche in questa occasione − in altre parole, se ha incidenza storica − o se deve rinunciare alla partita, rassegnandosi al ruolo di “cortigiana” di chi conquisterà il potere o di “consolatrice” per chi sarà sconfitto.
Molti hanno accettato la sfida e si sono lanciati nella verifica, concretamente, incontrando la gente nei mercati, davanti alle chiese, nei caseggiati e nei luoghi di studio e di lavoro. E che cosa si è visto?
Un diffuso quanto confuso desiderio di cambiamento, ma anche tanto scetticismo − e non solo a livello della politica −. A volte, una aggressività eclatante ed esagerata. E soprattutto un mare di bisogni e di solitudine. Dove è stato possibile bucare il muro dei pregiudizi e dell’ostilità, quanta umanità ferita e provata dalla vita è emersa, quanta gente sembrava non aspettare altro che qualcuno disposto a starvi di fronte, semplicemente!
Così, queste elezioni sono diventate l’occasione per ascoltare, per rendersi conto di necessità e di drammi inimmaginabili, talvolta per tendere una mano e offrire un aiuto. In qualche situazione è bastato uno scambio di numeri telefonici per risvegliare desiderio e speranza.
Che cosa ha reso possibile tutto questo? Non certo una scaltrezza e una dialettica politica. Ci vuole ben altro per bucare la crosta di cui molti si sono rivestiti per difendersi da una realtà che non soddisfa. Ora, di fronte a un bisogno tanto profondo, può riaffiorare la tentazione dell’utopia: il sogno che la politica − di qualunque colore e tendenza − possa offrire una soluzione magica che elimini il dolore, il male e l’ingiustizia, liberi l’uomo e lo salvi.
Sappiamo bene, tuttavia, quanto è deludente riporre la speranza in una cosa inconsistente come le utopie, che la storia ha puntualmente smentito. Per questo ci siamo ripetuti: «Non aspettiamoci un miracolo, ma un cammino». Perciò abbiamo condiviso con chiunque l’unica cosa reale che abbiamo: una esperienza di novità umana, che si è dimostrata capace di darci una pienezza e una positività in qualunque circostanza ci trovassimo.
Dopo queste elezioni suonano attualissime le parole che don Giussani rivolse a un giovane incontrato in Università Cattolica alla fine degli anni Sessanta, che considerava ormai la rivoluzione l’unico modo per incidere sulla storia:
«Le forze che muovono la storia sono le stesse che rendono felice l’uomo. La forza che fa la storia è un uomo che ha posto la sua dimora tra di noi, Cristo. La riscoperta di questo impedisce la nostra distrazione come uomini, il riconoscimento di questo introduce la nostra vita all’accento della felicità, sia pure intimidita e piena di una reticenza inevitabile. È nell’approfondimento di queste cose che uno incomincia a toccarsi alla mattina le spalle e sentire il proprio corpo più consistente e a guardarsi nello specchio e sentire il proprio volto più consistente, sentire il proprio io più consistente e il proprio cammino tra la gente più consistente, non dipendente dagli sguardi altrui, ma libero, non dipendente dalle reazioni altrui, ma libero, non vittima della logica di potere altrui, ma libero».
Le elezioni ci hanno provocati a una consapevolezza maggiore di quali sono «le forze che muovono la storia» e ad essere meno ingenui sul potere salvifico della politica. Solo la fede rende più umana la vita ora: mette in moto una vibrazione di fronte al bisogno nostro e altrui, scatena una passione per il destino di ogni singolo uomo in cui ci si imbatte, fino ad aprire una possibilità di dialogo con persone indifferenti, deluse o arrabbiate.
E ora? Non desideriamo altro che la libertà − per noi e per tutti − di costruire e di condividere la nostra esperienza con chiunque, a cominciare da coloro che abbiamo incontrato in questi mesi, dai loro bisogni. La politica − chi ha vinto, ma anche chi ha perso − sarà in grado di riconoscere questa novità di vita nel presente e di difenderla come un bene per tutti?
Quando siamo nati abbiamo domandato una sola cosa a chi comandava allora: «Mandateci in giro nudi, ma lasciateci la libertà di educare». Allora come oggi, Comunione e Liberazione esiste solo per questo. Chiediamo troppo?
C O M U N I O N E E L I B E R A Z I O N E
Giugno 2011
Fin dall’inizio ci siamo detti: siamo cristiani e dunque, prima di qualunque calcolo elettorale e prima di sapere quale sarà il risultato finale, vogliamo verificare se la fede ha qualcosa da dire anche in questa occasione − in altre parole, se ha incidenza storica − o se deve rinunciare alla partita, rassegnandosi al ruolo di “cortigiana” di chi conquisterà il potere o di “consolatrice” per chi sarà sconfitto.
Molti hanno accettato la sfida e si sono lanciati nella verifica, concretamente, incontrando la gente nei mercati, davanti alle chiese, nei caseggiati e nei luoghi di studio e di lavoro. E che cosa si è visto?
Un diffuso quanto confuso desiderio di cambiamento, ma anche tanto scetticismo − e non solo a livello della politica −. A volte, una aggressività eclatante ed esagerata. E soprattutto un mare di bisogni e di solitudine. Dove è stato possibile bucare il muro dei pregiudizi e dell’ostilità, quanta umanità ferita e provata dalla vita è emersa, quanta gente sembrava non aspettare altro che qualcuno disposto a starvi di fronte, semplicemente!
Così, queste elezioni sono diventate l’occasione per ascoltare, per rendersi conto di necessità e di drammi inimmaginabili, talvolta per tendere una mano e offrire un aiuto. In qualche situazione è bastato uno scambio di numeri telefonici per risvegliare desiderio e speranza.
Che cosa ha reso possibile tutto questo? Non certo una scaltrezza e una dialettica politica. Ci vuole ben altro per bucare la crosta di cui molti si sono rivestiti per difendersi da una realtà che non soddisfa. Ora, di fronte a un bisogno tanto profondo, può riaffiorare la tentazione dell’utopia: il sogno che la politica − di qualunque colore e tendenza − possa offrire una soluzione magica che elimini il dolore, il male e l’ingiustizia, liberi l’uomo e lo salvi.
Sappiamo bene, tuttavia, quanto è deludente riporre la speranza in una cosa inconsistente come le utopie, che la storia ha puntualmente smentito. Per questo ci siamo ripetuti: «Non aspettiamoci un miracolo, ma un cammino». Perciò abbiamo condiviso con chiunque l’unica cosa reale che abbiamo: una esperienza di novità umana, che si è dimostrata capace di darci una pienezza e una positività in qualunque circostanza ci trovassimo.
Dopo queste elezioni suonano attualissime le parole che don Giussani rivolse a un giovane incontrato in Università Cattolica alla fine degli anni Sessanta, che considerava ormai la rivoluzione l’unico modo per incidere sulla storia:
«Le forze che muovono la storia sono le stesse che rendono felice l’uomo. La forza che fa la storia è un uomo che ha posto la sua dimora tra di noi, Cristo. La riscoperta di questo impedisce la nostra distrazione come uomini, il riconoscimento di questo introduce la nostra vita all’accento della felicità, sia pure intimidita e piena di una reticenza inevitabile. È nell’approfondimento di queste cose che uno incomincia a toccarsi alla mattina le spalle e sentire il proprio corpo più consistente e a guardarsi nello specchio e sentire il proprio volto più consistente, sentire il proprio io più consistente e il proprio cammino tra la gente più consistente, non dipendente dagli sguardi altrui, ma libero, non dipendente dalle reazioni altrui, ma libero, non vittima della logica di potere altrui, ma libero».
Le elezioni ci hanno provocati a una consapevolezza maggiore di quali sono «le forze che muovono la storia» e ad essere meno ingenui sul potere salvifico della politica. Solo la fede rende più umana la vita ora: mette in moto una vibrazione di fronte al bisogno nostro e altrui, scatena una passione per il destino di ogni singolo uomo in cui ci si imbatte, fino ad aprire una possibilità di dialogo con persone indifferenti, deluse o arrabbiate.
E ora? Non desideriamo altro che la libertà − per noi e per tutti − di costruire e di condividere la nostra esperienza con chiunque, a cominciare da coloro che abbiamo incontrato in questi mesi, dai loro bisogni. La politica − chi ha vinto, ma anche chi ha perso − sarà in grado di riconoscere questa novità di vita nel presente e di difenderla come un bene per tutti?
Quando siamo nati abbiamo domandato una sola cosa a chi comandava allora: «Mandateci in giro nudi, ma lasciateci la libertà di educare». Allora come oggi, Comunione e Liberazione esiste solo per questo. Chiediamo troppo?
C O M U N I O N E E L I B E R A Z I O N E
Giugno 2011
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